PENSIONI: la parità non voluta

Roma -

L'età di pensionamento delle donne che lavorano nel pubblico impiego aumenterà gradualmente a partire dal 2010 per arrivare a quota 65 anni nel 2018.

E' la soluzione individuata dal governo di destra in risposta alla Unione Europea che ha chiesto di equiparare l'età di pensionamento fra uomini e donne.

La misura sarà inserita in un emendamento, a firma della senatrice Cinzia Bonfrisco (Pdl), al disegno di legge Comunitaria in Aula al Senato. Il testo della bozza della proposta, che si compone di un solo articolo, prevede "l'elevazione dell'età pensionabile per le dipendenti pubbliche".
L'Italia, alcuni mesi fa, è stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea proprio per la discriminazione tra uomini e donne nella Pubblica Amministrazione. I giudici del Lussemburgo hanno ritenuto che sia ingiusto, ai danni degli uomini, limitare alle donne la facoltà di andare in pensione a sessantacinque anni.

L'avvocato dello Stato aveva argomentato che le donne in Italia sono discriminate nel mondo del lavoro e che, la facoltà di andare in pensione a 60 anni (potendo però continuare a lavorare fino a 65, come gli uomini), costituisce una parziale compensazione.

Argomentazione che è stata rigettata: l'Italia, come ha più volte rilevato il ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, deve ora adeguarsi alla sentenza, per evitare sanzioni da parte di Bruxelles.

La senatrice Bonfrisco (Pdl) dovrebbe depositare l'emendamento già domani.

La proposta, "contiene un'ampia delega" all'esecutivo per "mettere l'Italia al riparo da un processo di infrazione comunitaria e risolve il problema nella direzione auspicata anche dall'opposizione.
Su questo punto c'è l'adesione ampia da parte di tutto il governo e dei ministri competenti".

A decorrere dal 2010, si legge nella bozza della proposta dell'esecutivo, "per le lavoratrici iscritte alle forme esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, il requisito di età per il conseguimento del trattamento pensionistico di vecchiaia e il requisito anagrafico sono incrementati di un anno. Tale età è ulteriormente incrementata di un anno, a decorrere dal primo gennaio 2012, nonché di un ulteriore anno per ogni biennio successivo, fino al raggiungimento dell'età di 65 anni".

"Restano ferme la disciplina vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico e le disposizioni vigenti relative a specifici ordinamenti che prevedono requisiti anagrafici più elevati, nonché le disposizioni di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 aprile 1997 numero 166 (limiti di età per la cessazione dal servizio)".

"Le lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2009 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente disposizione ai fini del diritto all'accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, conseguono il diritto alla prestazione pensionistica, secondo la predetta normativa e possono chiedere all'ente di appartenenza la certificazione di tale diritto".


Lo abbiamo già scritto più volte: l'applicazione della sentenza della Corte di Giustizia europea è solo una patetica scusa: il governo usa la crisi per ridisegnare e comprimere tutto lo stato sociale e ridurre i diritti dei soggetti più esposti nel mercato del lavoro.

Ogni occasione, quindi, è buona per tentare di cancellare i diritti, cominciando da uno dei settori più deboli di questa società: le lavoratrici che, ormai, suppliscono completamente alle funzioni di uno stato sociale disintegrato dalle forze politiche di ambedue gli schieramenti, divenute, di volta in volta, maggioranze di governo.

Le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto in termini di salario, di disoccupazione, di precariato e di qualità della vita, fra tagli di servizi indispensabili (scuola e sanità), aumenti di carichi di lavoro dentro e fuori le mura domestiche ed il dilagare della violenza sul proprio corpo.
E’ tempo che le lavoratrici riprendano, nelle proprie mani, l’iniziativa contro questo nuovo e gravissimo attacco alle condizioni di lavoro e di vita delle donne, per una battaglia che metta al centro la riconquista di tutti i diritti e non permetta di barattare, con l’aumento dell’età pensionabile di altre donne, la mancanza di servizi sociali.

E' necessario, quindi, la costruzione di una mobilitazione nazionale contro questo ulteriore attacco che imporrà alle donne di pagare, per prime, il prezzo più alto della crisi economica che investe tutto il mondo del lavoro e la società nella sua complessità.

Da subito.