PENSIONI: peggio della MARONI !

Roma -

Ormai è una costante.

I peggiori accordi contro i lavoratori, CGIL, CISL e UIL li firmano sempre prima della chiusura delle fabbriche e degli uffici, a luglio.

Una modalità di comportamento ormai chiara e che mira a bloccare una risposta adeguata dei lavoratori alla truffa messa in atto.

E l'accordo sulle pensioni del 20 luglio 2007, tra governo Prodi e CGIL, CISL, UIL e UGL, si inserisce proprio in questa dinamica storica.

 

I termini dell’accordo.

Lo scalone di Maroni viene diluito in tre scalini, nel periodo gennaio 2008-gennaio 2011, andando anche oltre: dal 1 gennaio 2008 l’età minima di anzianità è di 58 anni, dal 1 luglio 2009 di 59 anni e quota 95, dal 1 gennaio 2011 di 60 anni e quota 96, dal 1 gennaio 2013 di 61 anni e quota 97.

Per chi ha maturato i quaranta anni di contributi ci saranno quattro "finestre di uscita", lo stesso vale per le pensioni di vecchiaia, che non decorrono più al compimento dell’età minima, determinando un reale aumento dell’età pensionabile, anche per le donne, di alcuni mesi.

Accanto all’aumento dell’età pensionabile, l’accordo prevede, in linea con la riforma Dini, un meccanismo automatico, da attuare entro il 2008, che determinerà il valore dei coefficienti di rendimento previdenziale sulla base di parametri esterni al bilancio dell’Inps (finanziato con i contributi dei lavoratori e oggi in attivo), quali le dinamiche delle grandezze macroeconomiche, l’andamento demografico, l'aspettativa di vita, gli obiettivi di bilancio statale.

Sulla base di queste valutazioni, il governo, ogni tre anni, autonomamente e senza obbligo di contrattazione, stabilirà a quali coefficienti di calcolo la pensione dovrà fare riferimento, con apposito decreto ministeriale.

Pertanto, con questo accordo, la pensione del lavoratore esce definitivamente dalla categoria del salario differito e contrattato, mentre il governo si appropria definitivamente della cassa dell’Inps.
La stessa rivendicazione di separare l’assistenza dalla previdenza viene svuotata di contenuto.

CGIL, CISL, UIL e UGL hanno, evidentemente, deciso di mandare alla deriva quello che resta della pensione pubblica puntando a gestire, assieme ai poteri forti, i fondi pensione.

Infine, l’intesa ha previsto: la detassazione del premio di risultato, ossia il salario contrattato in azienda, che permette al governo di finanziare le imprese e da avvio allo smantellamento di quel che resta del contratto nazionale; di aumentare dal 2011 ulteriormente i contributi previdenziali a carico dei lavoratori; di procedere all’unificazione degli Enti previdenziali che porterà ad un travaso dei soldi dai fondi in attivo (quello dei lavoratori dipendenti) a quelli in passivo (quelli dei dirigenti d’azienda, autonomi).

L’accordo è condito con una "spolveratina" di zucchero (tutele per i lavori usuranti, una promessa prevista dalla Dini e mai mantenuta, aumento miserevole delle pensioni minime, promessa della copertura previdenziale per i periodi di disoccupazione) in modo da addolcire, ai lavoratori, l’amara medicina.

Infatti, paradossalmente, si cerca di convincere i lavoratori a guardare nell'accordo alcuni punti positivi, come, ad esempio, il ripristino delle 4 finestre di uscita e l'aumento di un caffè al giorno per le pensioni minime, ma si dimenticano di dire che queste loro graziose concessioni sono finanziate dai tagli alle pensioni proprio dei lavoratori.

Ancor più paradossalmente, cercano di rendere apprezzabile l'accordo sottolineando l'intervento previsto a favore dei lavoratori precari.

L'accordo prevede, infatti, (per ora, solo a parole) che verrà prevista la copertura previdenziale figurativa (ossia simbolica, nessuno versa nulla, neppure le aziende) per i periodi di inattività lavorativa e che a loro si vedrà (bilancio permettendo, quindi solo a parole per ora) di garantire una pensione di almeno il 60% della loro ultima retribuzione (che poi non sarà l'ultima, ma una media di non si sa cosa).

Ultima retribuzione che sarà, se va bene, sui 1000 euro.

Il 60% dell'ultima retribuzione sarà, quindi, nella maggior parte dei casi pari a 600 euro, praticamente come la pensione minima sociale.

Ma, anche qui, copertura figurativa dei contributi e previsioni di spesa per il tetto minimo di pensione ai precari non vengono dalle casse dello Stato ma, dal taglio alle pensioni.

Altrettanto paradossalmente tentano di far notare ai lavoratori che l'accordo porta, con se, maggiori tutele per i lavori usuranti, quelle, per intenderci, che già erano state promesse con un accordo per far digerire la rìforma Dini del 1995 offrendo una specie di scambio.

Ora, invece, viene fatta passare come vittoria una cosa che era già un diritto contrattato e mai applicato dal 1995 e che, ancora oggi, nell'accordo è in gran parte da precisare.

Una vittoria tra l'altro (e nessuno lo dice) che sarà esigibile solo all'interno di un tetto di spesa non espandibile, comunque ricavato dai tagli realizzati sulle pensioni dei lavoratori.

Quindi, tutto quello che di positivo viene detto esserci nell'accordo, non è certo elargito dal Governo come scambio per l'aumento dell'età pensionabile.

In realtà, viene finanziato riducendo le pensioni compreso anche quello che già era previsto come scambio per i tagli della controriforma Dini e che viene, oggi, riproposto come scambio per i tagli attuali.

 

La cassa previdenziale.

L’accordo sulle pensioni firmato da CGIL, CISL, UIL e UGL, nella notte del 20 luglio, è una resa con consegna incondizionata della cassa previdenziale dei lavoratori dipendenti, nelle mani di Tommaso Padoa Schioppa che, da oggi, diventa quello che deciderà delle pensioni dei lavoratori e che potrà fare dell’attivo previdenziale (visto che gli è stata concessa la titolarità) quello che più gli aggrada.

Fulcro, quindi, di questo massacro è l’introduzione dell’automatismo nella definizione dei coefficienti di rendimento.

Da oggi, infatti, il coefficiente di calcolo delle pensioni non sarà più verificato e calcolato sulla base dell’equilibrio del fondo previdenziale (che sappiamo essere ancora oggi in attivo) ma sulla base di parametri esterni, come l’andamento demografico, l’andamento del PIL, e gli obiettivi di bilancio dello Stato.

Così, ogni tre anni, un Ministro dell'Economia e delle Finanze farà qualche calcolo, verificherà l’andamento dei parametri sopra citati, calcolerà quale è il bisogno dello Stato per finanziare i suoi programmi di spesa per l’assistenza e, quindi, deciderà quanto la cassa previdenziale deve dare per sostenere queste spese.

Conseguentemente, deciderà di quanto il coefficiente di calcolo delle pensioni deve essere abbassato per liberare le risorse che gli servono a fare altro.

Tutto questo, automaticamente, cioè senza alcun obbligo di discussione con le parti sociali.

Di fatto, quindi, con questo accordo, CGIL, CISL, UIL e UGL hanno cancellato il salario differito pensione.

I lavoratori continueranno a versare i contributi che si pensa possano servire a pagarsi la pensione, ma su cui non hanno più alcun controllo.

Da oggi, l'aspettativa di pensione sarà determinata, da un lato, dall’andamento dei titoli in borsa a cui, grazie a CGIL, CISL, UIL e UGL, si è regalato una parte del salario e del TFR dei lavoratori; dall’altro, dal grazioso interessamento di un Governo (di centrosinistra o di centrodestra è uguale!) che, avendo rubato il controllo sulla cassa previdenziale, deciderà quanti soldi destinare alle pensioni, di volta in volta, a seconda di quanti sono i soldi di cui ha deciso di avere bisogno.

Grazie a CGIL, CISL, UIL e UGL, Tommaso Padoa Schioppa ha enormi motivi per gioire.

Eppure, CGIL, CISL e UIL, due anni fa, avevano chiamato alla mobilitazione i lavoratori contro lo scalone Maroni, contro il governo di centrodestra, spiegando che non c’erano motivi per allungare l’età pensionabile perchè i bilanci dell’Inps erano in attivo.

Avevano anche detto che bisognava, invece, dividere i conti previdenziali da quelli assistenziali, combattere l’enorme evasione contributiva prodotta dal lavoro nero e contrastare la precarietà in quanto riduce, nel tempo, le entrate nella cassa previdenziale aprendo seri problemi su quella che sarebbe stata la pensione dei giovani.

Invece, CGIL, CISL e UIL hanno firmato un accordo che, non solo smentisce tutto quanto detto al tempo della legge Maroni, non solo smentisce anche quella specie di piattaforma unitaria i cui paletti erano stati venduti, a parole, ai lavoratori come insuperabili, non solo si contraddicono rispetto alle loro recenti dichiarazioni, ma arrivano a concordare un innalzamento dell’età pensionabile che è peggiore della Maroni, a fare di molto peggio.

Concordano che, d'ora in poi, sia Tommaso Padoa Schioppa, il Ministro dell'Economia e delle Finanze, sulla base di parametri che non c’entrano nulla con l’equilibrio della spesa previdenziale, a decidere per decreto come variare di volta in volta i coefficienti di calcolo delle pensioni.

Così facendo, concordano il fatto che la pensione non è più parte del salario differito (legato agli accantonamenti versati) ma salario sociale (ossia deciso unicamente per decreto dal Governo, fuori da ogni controllo sociale).


Uno sbocco evitabile.

L’accordo era stato preceduto dalle relazioni del governatore di Bankitalia e del presidente della Corte dei Conti, davanti al Senato, nel corso dell’audizione sul Dpef.

Entrambi, hanno utilizzato gli stessi argomenti per esprimere le richieste dei poteri forti, dei banchieri e degli industriali, e proposto la stessa ricetta: aumentare gradualmente l’età media effettiva di pensionamento e sviluppare la previdenza complementare.

Dove si andava a parare era, pertanto, evidente.

Come era evidente, la disponibilità di CGIL, CISL, UIL e UGL a firmare.

La finta consultazione che propongono, dopo aver visto nel 1995 lo svolgersi del referendum sulla riforma Dini, sappiamo già come andrà a finire: a far passare, mediante pseudo-votazioni, anche questa ennesima controriforma.

La strada, invece, dovrà essere quella di respingere con decisione l’accordo, puntando sulla mobilitazione di classe, sul pronunciamento dei delegati e dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

La RdB/CUB continuerà nella lotta contro l’aumento dell’età pensionabile, per il rilancio della previdenza pubblica e per l’aggancio automatico delle pensioni alla dinamica dei prezzi e delle retribuzioni.