Abbiamo già dato

Roma -

 

La scorsa settimana è stata contrassegnata da due importanti eventi.

L'Assemblea Annuale di Confindustria del 25 maggio 2006 e la prima relazione del Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, il 31 maggio 2006.

Gli applausi di approvazione sono stati, per entrambi gli appuntamenti, bipartisan.

Sia gli esponenti politici della maggioranza sia quelli di opposizione, all'unisono hanno condiviso relazioni, analisi e ricette provenienti dal Presidente di Confindustria e dal Governatore.

La "contrapposizione" tra i due poli, guarda caso, è svanita di fronte alla corte dei poteri forti.

Il vademecum del "ferrarista" consiste in privatizzazioni, tagli alla spesa sociale, taglio del costo del lavoro, riforma dei contratti, investimenti pubblici al servizio del privato, conferma e rafforzamento della legge 30 e, persino, il rilancio del nucleare.

Insomma il primato assoluto del profitto d'impresa, alleggerito con meno tasse e meno vincoli e aiutato con il sostegno pubblico.

Anche sulla riforma costituzionale, Luca Cordero di Montezemolo auspica modifiche, correzioni ed integrazioni. 

Anche le considerazioni dell'ex Direttore Generale del Tesoro, ora Governatore della Banca d'Italia, trovano ampie convergenze.

Una relazione chiara proveniente dall'uomo campione delle privatizzazioni nell'ultimo decennio del secolo.

Tra il 1992 e il 2001 (governo di centro sinistra e due anni di governo di centro destra) l'Italia ha prodotto un volume di privatizzazioni che si rivelarono seconde solo all'Inghilterra.

Si trattò della Telecom, dell'Eni, dell'Enel, dell'intero sistema bancario italiano e di molto altro ancora.

Quel processo ha consegnato l'economia del paese in mano alla finanza ed alle sue speculazioni; ha accompagnato e accelerato in modo vistoso il declino industriale del nostro paese; ha precostituito il terreno per le scorrerie dei vari raiders di ogni colore, le cui imprese monopolizzano le cronache dei giornali.

Il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, è stato attore ed interprete di una politica e di una stagione, quella delle privatizzazioni, drammatica sia per gli interessi dei lavoratori sia per il tessuto produttivo del nostro paese.

La ricetta del Governatore è semplice: stabilizzazione della precarietà, aumento dell'età pensionabile, centralità del sistema bancario nei processi produttivi, rilancio della concertazione sindacale, finanziarizzazione del TFR e, quindi, accelerazione della previdenza integrativa.

Anche qui, quindi, l'esaltazione del mercato come valore assoluto e unico strumento di giustizia. 

Peccato, che in entrambe le relazioni, è mancata una questione fondamentale: la ridistribuzione della ricchezza

A fronte di queste relazioni e degli applausi ricevuti, ci corrono i brividi lungo tutta la schiena leggere, in alcuni recenti articoli di stampa, i guadagni e gli stipendi sia dei "boiardi" di Stato che di quelli imprenditoriali.

Alcuni esempi ?

Vittorio Grilli, ex Ragionerie Generale dello Stato e attualmente Direttore Generale del Tesoro oltre che presidente dell'Istituto Italiano di Tecnologia denuncia 511 mila euro all'anno guadagnati in Italia e 1 milione e 800 mila euro all'estero. Governo cambiato, ma Grilli è rimasto al Tesoro.

L'ex Capo di Gabinetto del Ministro Tremonti, Vincenzo Fortunato, uomo poliedrico con i suoi molteplici incarichi e buono per tutte le stagioni, ha traslocato con l'attuale governo alle dipendenze del Ministro dei Lavori Pubblici con Antonio Di Pietro. Il suo reddito? 461 mila euro.

Gianfranco Cimoli, per l'anno 2004, ha dichiarato 8 milioni e 300 mila euro senza contare la lauta liquidazione ottenuta dalle Ferrovie dopo il suo passaggio all'Alitalia.

Fulvio Conti, Enel, ha guadagnato, nel 2004, 1 milione e 200 mila euro, Paolo Scaroni 2 milioni e 691 mila euro, Vincenzo Pozzi, Anas, poco meno di 500 mila euro.

Continuando, leggiamo che Massimo Sarmi, Poste, non supera il milione di euro mentre Elio Catania i due.

Superstipendi anche per i "manager" delle Agenzie.

Il direttore delle Entrate, Ferrara 427 mila euro, Elisabetta Spiz dell'Agenzia delle Demanio 376 mila euro mentre per il direttore delle Agenzie delle Dogane, Mario Andrea Guiana, 350 mila euro, e per il direttore del Territorio Mario Picardi, 330 mila euro, entrambi confermati anche se già in età pensionabile. 

Il nostro sguardo si è posato, poi, sulle remunerazioni dei consiglieri di amministrazione, cioè coloro che si riuniscono circa una volta al mese per prendere le decisioni strategiche dell’azienda.

Ebbene, è stato calcolato che nel 2005 i 475 consiglieri di amministrazione delle 40 principali società quotate nella Borsa italiana hanno incassato 436.123 euro a testa: 37.199 a riunione, per un totale di 16 riunioni in un anno.

Senza contare che i dieci consiglieri più ricchi hanno guadagnato, nel 2005, 6 milioni 860 mila euro a testa, 615 mila euro a riunione (per 12 riunioni).

Il record spetta a Marco De Benedetti che, partecipando a 11 riunioni di Telecom Italia, ha portato a casa 11 milioni 550 mila euro (1,05 per riunione). Segue Luca Cordero di Montezemolo (7,04 milioni per 9 riunioni, 782 per riunione), Sergio Marchionne (Fiat, 7 milioni per 9 riunioni, 778 mila euro per riunione) e Paolo Ligresti (555 mila euro a riunione).

Tra le aziende ancora in mano pubblica, Vittorio Mincato, ex amministratore delegato di Eni, ha preso 469 mila euro a meeting e Paolo Scaroni, ex amministratore delegato di Enel, ha realizzato 451 mila euro a riunione.

Inoltre le remunerazioni di 745 consiglieri delle 40 maggiori società quotate sono aumentate, sempre per il 2005, del 7,38% ma, per i consiglieri più vecchi (in carica da due anni), l'aumento è stato del 23,84%.

Infine, i dieci manager più pagati di Telecom, Eni, Enel, UniCredit, Fiat e Mediaset hanno visto i loro compensi crescere del 130,84% a quota 76,4 milioni nel 2005, a fronte di aumento dei profitti dell'8,44%. 

Siamo convinti, quindi, che la ridistribuzione della ricchezza è una questione assolutamente concreta e non così irrilevante da essere "dimenticata" nelle relazioni del Presidente di Confindustria e del Governatore della Banca d'Italia. 

Il rilancio del Paese non si ottiene con la riproposizione della solita ricetta degli aiuti alle imprese e dei tagli allo stato sociale e ai diritti.

La sfida da cogliere è un'altra.

E' quella di collegare una nuova politica economica ad una nuova politica sociale, a partire dall'incremento di salari e pensioni.

Una politica che tenga insieme sostegno ai redditi, interventi strutturali contro la disoccupazione di massa, cura e salvaguardia del territorio e dei beni comuni, estensione dei diritti sociali.

Ridistribuire il reddito, migliorare le condizioni dei salari e dei diritti dei lavoratori non è una questione successiva alla ripresa dello sviluppo.

Oggi il miglioramento del reddito dei lavoratori è una condizione di partenza per la ripresa dello sviluppo.

Oggi, bisogna partire dai tanti fallimenti quotidiani che ci sono nelle vite delle famiglie delle lavoratrici e dei lavoratori.

E' da lì, che deve partire il risanamento dell'economia.