Contro le politiche economiche di guerra del Governo Meloni: 28 ottobre presidio USB davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze, 1° novembre assemblea nazionale a Roma di delegati e delegate
Dal Nazionale - Aumento vertiginoso delle spese militari, il solito pacchetto di aiuti alle imprese, oboli in più in busta paga attraverso il versante fiscale per un ceto medio i cui salari sono stati letteralmente mangiati dall'inflazione e il nulla cosmico per i pensionati al minimo e più in generale per quella fetta sempre maggiore della popolazione che vive in condizioni di povertà assoluta, circa 6 milioni come certificato recentemente dall'Istat.
È questa la sintesi di una manovra finanziaria (verrebbe da dire una manovra militare...) che certifica e cristallizza lo scivolamento verso il basso delle condizioni economiche di milioni e milioni di lavoratori e lavoratrici, stretti nella morsa tra i vincoli europei e l'adesione al sistema della guerra.
“Manovra equilibrata e seria” ha commentato la Presidente del Consiglio, ma di equilibrato e serio in una legge di bilancio che destina 23 miliardi in tre anni alle spese militari non vi è proprio nulla: anzi vi è l'idea di un modello sociale che deve essere totalmente sacrificato sull'altare della guerra e a quell'innalzamento al 5% del Pil delle spese militari per genuflettersi alla Nato e alle lobby armate euro-atlantiche.
Per ora questo incremento delle spese militari verrà finanziato con prestiti a lungo termine e con tassi che sicuramente non si annunciano risibili, in deroga ai vincoli di bilancio, ma dopo la fine della legislatura si interverrà con tagli alla spesa sociale per arrivare a quel fatidico 5% che significa al 2035 circa 130 miliardi per la spesa militare: insomma toccherà al welfare e ai salari pagare il prezzo della guerra!
Nella manovra da 18 miliardi, il governo si inchina alle banche e alle imprese e va a reperire il grosso delle risorse dal PNRR, soldi che com’è noto andranno poi restituiti, attraverso un artificio contabile che prevede la rinuncia ad alcuni progetti, vedremo se la UE approverà la revisione e quali saranno le ricadute.
Alle prime, dopo tanto inutile can can, non verrà applicata alcuna tassa sugli stratosferici extraprofitti realizzati in questi anni, ma solo una addizionale di due punti sull' Irap, il resto è un nebuloso meccanismo di contribuzione volontaria lasciata alla prevedibile bontà d'animo del sistema bancario... Alle seconde sono destinati 4 miliardi per tre anni per il super ammortamento degli investimenti in macchinari e beni produttivi, e la conferma di oltre 2,3 miliardi di crediti di imposta in quei paradisi fiscali di casa nostra che portano il nome di Zone economiche speciali (ZES).
Confindustria e Abi gongolano e ringraziano sentitamente, mentre blaterano di crescita e glissano consapevolmente sui tre fattori che stanno contribuendo al declino economico e sociale del paese: il costo dell'energia aumentato vertiginosamente a seguito delle politiche di guerra e della scellerata scelta di abbandonare le forniture russe a favore di quelle statunitensi a prezzi molto maggiorati, il costo del denaro necessario per la liquidità delle imprese venduto a tassi elevati dal sistema bancario salvato con soldi pubblici e immune da ogni tassazione sugli extraprofitti, e la mancanza di un piano per lo sviluppo industriale centrato sulle nazionalizzazioni, i salari, e la tutela dell'occupazione e dell'ambiente
Per il così detto ceto medio, bacino elettorale sul quale il governo a parole si concentra, la riduzione dell'aliquota Irpef dal 35 al 33 percento nello scaglione di reddito tra i 28.000 euro e i 50.000 euro, varrà zero sotto questa soglia, all'incirca 3 euro in più al mese per i redditi da 30.000 euro, e circa 37 euro al mese per i redditi da 50.000 euro mensili; la flat tax del 5 percento sugli aumenti contrattuali (che ad oggi pare riguardare solo il privato) si traduce, secondo primi calcoli, in un vantaggio fiscale di 15 euro mensili calcolati su un reddito netto di 1600 euro mensile, mentre mediamente i salari hanno perso in questi anni circa 200 euro al mese; l'abbassamento all'1 percento dell'aliquota fiscale sui premi di produttività fino a 5.000 euro (per chi li percepisce), è poi una misura assolutamente risibile. Inoltre, per effetto della norma introdotta nella precedente legge di bilancio, nel periodo di imposta 2025 la detrazione per ciascun figlio a carico si applica solo sino alla soglia dei 30 anni il che significa che una famiglia con un figlio disoccupato di 31 anni perderà il diritto alla detrazione: con una mano fanno finta di dare qualche spicciolo, con l’altra sottraggono più di quanto danno.
Insomma, sul fronte emergenza salari (sottolineato persino dall'ineffabile Presidente della Repubblica) non viene fatto nulla se non continuare ad intervenire in maniera confusa e schizofrenica sul versante fiscale (cuneo fiscale, riduzione aliquote, flat tax di vario genere) non apportando alcun beneficio alle retribuzioni ma, in compenso, contribuendo a minare alle fondamenta un sistema fiscale che diventa un ginepraio di trattamenti differenziati a seconda delle esigenze.
Per il resto, nuova rottamazione delle cartelle esattoriali (e siamo a 5!), 2,3 miliardi di tagli ai ministeri (nel triennio 8), fondi aggiuntivi per 2,4 miliardi per la sanità che però ne ha persi 13 solo nell'ultimo triennio, nessun freno all'aumento dell'età pensionabile e pensioni minime aumentate (udite, udite!) di 20 euro al mese.
Poi naturalmente vi è tutto ciò che manca in una manovra che si configura nettamente e chiaramente come una vera e propria finanziaria di guerra: la previsione di un salario di almeno 2.000 euro netti in busta paga con un sistema costante di indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita, e più in generale tutti quegli interventi diretti a rilanciare pensioni, welfare e servizi pubblici e quindi una maggiore equità sociale piuttosto che le politiche di guerra.
Due appuntamenti per dire no a tutto questo: il 28 ottobre in presidio davanti al MEF e il 1° novembre in una assemblea nazionale di delegati e delegate che si terrà a Roma al Teatro Italia.
Unione Sindacale di Base