Il fuoco incrociato
Non c'è che dire, la RdB/CUB MEF si trova proprio nel bel mezzo di un fuoco incrociato.
Da una parte, la CISL ci ricopre di insulti (fascisti siete voi!) solo perchè abbiamo denunciato il contratto di lavoro vergogna siglato all'ARAN, lo scorso 14 settembre 2007, da CGIL, CISL e UIL insieme a tutto il resto del codazzo (hanno proclamato, ad ottobre, persino lo sciopero generale!), evidenziando, contestualmente, anche l'esistenza di una norma antidemocratica e, questa sì, fascista, che nega, di fatto, a chi non è d'accordo, di poter continuare a tutelare i lavoratori.
Dall'altra, invece, il fuoco arriva dalla CGIL MEF (una volta, si chiamava Comitato degli Iscritti, ora, chiaramente, viste le defezioni si sono dovuti adeguare e hanno cambiato nome) con un comunicato intriso di spunti filosofici, quasi metafisici, maturati, certamente, in un momento di forte raccoglimento.
Arrabbiati dal "flop" della farsa consultazione sul protocollo del 23 luglio, messa in scena al MEF lo scorso 2 ottobre 2007, da CGIL, CISL e UIL, l'enfasi e il vigore della CGIL MEF e del suo amanuense, si possono facilmente riscontrare nella forma e nei caratteri usati: grassetto, colorati, sottolineature, frasi in maiuscolo, il tutto per sostenere che la RdB/CUB sottovaluta l'intelligenza dei lavoratori ed opera in modo tale da "alimentare e fomentare uno stato di confusione tra i lavoratori per non indurli a pensare e decidere autonomamente".
Caspita! Che potere che abbiamo!
Dallo scritto, poi, si evincono anche altri e interessanti spunti: la superficialità e la demagogia con la quale la RdB/CUB tratta gli argomenti come, ad esempio, quello sul protocollo sul welfare e pensioni, liquidato con uno "scarno e semplice comunicato", unitamente ai nostri "NO" a tutto e a tutti.
Di contro, invece, la CGIL, "con gli atti e le responsabilità che si assume nei confronti dei lavoratori, con la firma di accordi, è tutta altra cosa"!
La CGIL MEF e il suo amanuense giungono, infine, all'epilogo scomodando persino il re Pirro dell'Epiro: se i NO al protocollo vincono, "significa nessun beneficio per nessuno e tutto rimane immutato"!
In realtà, questi benedetti benefici che derivano dal protocollo, ancora non li abbiamo individuati.
Ma, oltre a noi delle RdB/CUB, anche la FIOM, i lavoratori di Mirafiori e gli operai di decine e decine di fabbriche, non li hanno, ancora, trovati.
Gli unici che li hanno individuati, sono: la Confindustria, i banchieri, Tommaso Padoa Schioppa, la CISL, la UIL, la CGIL MEF e il suo amanuense.
Comunque, vista la critica relativa alla nostra superficialità nel trattare gli argomenti, mediante scarni e semplici comunicati, interveniamo, nuovamente, sul protocollo ma ad una condizione:
che la CGIL MEF e il suo amanuense utilizzino, questa volta, posizionandosi sulla barra laterale del PC, la freccetta del mouse per scorrere la pagina e leggere, in tal modo, il nostro comunicato per intero.
Se questo gli dovesse risulta ostico, possono usare anche i tasti freccia SU, e freccia GIU' !!!
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PENSIONI:
La trappola dello scalone “Maroni” viene soltanto un po’ ammorbidita e diluita nel tempo, introducendo un sistema di “scalini” con i quali i requisiti per andare in pensione aumenteranno di anno in anno.
Finché, dal 2011, verranno uguagliati i danni già previsti dal governo di centrodestra (61 anni di età e 35 di contributi) e dal 2013, addirittura superati con i 62 anni di età in quanto questo traguardo nella legge “Maroni” era previsto nel 2014.
Evidentemente il centrosinistra, che ha tanto a cuore le sorti dei lavoratori, ha preferito anticipare i tempi.
La revisione dello “scalone” viene così definita:
· dal 1° gennaio 2008
58 anni di età e 35 di contributi
· dal 1° gennaio 2009
59 anni di età e 36 di contributi (quota minima 95)
· dal 1° gennaio 2011
60 anni di età e 36 di contributi (quota minima 96)
· dal 1° gennaio 2013
61 anni di età e 36 di contributi oppure 62 e 35 (quota minima 97).
Dal 2010 diminuiranno fra il 6 e l’8% i coefficienti di trasformazione.
I LAVORI USURANTI:
Peri lavoratori che svolgono mansioni usuranti viene sì, previsto un anticipo di 3 anni per l’età pensionabile, ma i fondi stanziati coprono solo 5.000 lavoratori all’anno fino al 2017 e, quindi, la grande maggioranza di chi ha fatto lavori usuranti ne verrà, nei fatti, esclusa. Dal 2013 poi, anche i lavoratori “usurati” dovranno attendere i 58/59 anni e, anche per chi rientrerà nei ristretti criteri previsti (viene allargata la platea dei lavori usuranti ai lavoratori notturni che effettuino almeno 80 turni l’anno ma, molti, ne compiono mediamente 70!), la situazione peggiorerà rispetto a quella attuale.
Altro che rispetto dei lavoratori!
L’AUMENTO DELLE FINESTRE PER LE PENSIONI DI ANZIANITÀ:
La “Maroni” ridurrebbe a 2/anno le finestre pensionistiche per chi ha 40 anni di contributi, con il rischio di pesanti allungamenti della permanenza al lavoro dopo la maturazione del requisito.
Il “protocollo” prevede il ripristino di 4 finestre, con la riduzione del prolungamento dell’attività che, comunque, rimane.
Per far fronte ai “costi” che ciò comporterà, è prevista l’introduzione di finestre anche per le pensioni di vecchiaia.
Pertanto, le donne e gli uomini, non andranno più in pensione di vecchiaia rispettivamente a 60 e 65 anni, ma vedranno prolungata la loro permanenza al lavoro fino alla data dell’apertura della prima finestra successiva al compimento dell’età prevista.
Quindi, un peggioramento previsto dalla destra per i lavoratori che maturano la pensione di anzianità coi quarant’anni di contributi, viene trasformato, dall’Unione e da CGIL, CISL e UIL, in un peggioramento per i lavoratori che maturano la pensione di vecchiaia!
GLI AUMENTI DELLE PENSIONI BASSE:
La questione è particolarmente intricata.
L’aumento viene dato a tutti coloro, donne e uomini, che hanno una pensione mensile inferiore a 693 euro (altre fonti sostengono 654) e più di 64 anni.
Per i pensionati previdenziali, corrisponde a 29 euro medi mensili, dal 2008. Gli stessi soggetti avranno, nel 2007, un aumento “una tantum” di 300 euro medi. Importi minori e variabili andranno alle pensioni sociali e a quelle di invalidità.
Il miglioramento dell’indicizzazione: la “rivalutazione” delle pensioni, per le fasce comprese tra 3 e 5 volte il minimo attuale (da 1.308,48 a 2.180,70 euro), passa dal 90% al 100% della variazione dei prezzi dell’indice Istat.
In concreto, un pensionato con 1.508,48 euro di pensione, fino ad oggi ha una rivalutazione pari al 100% dell’indice Istat fino a 1.308,48 euro e del 90% sugli altri 200 euro.
Dunque, avrebbe un aumento del 10% della rivalutazione basata sull’indice l’Istat su 200 euro.
Se l’inflazione Istat fosse del 2%, su quei 200 euro si applicherebbe un adeguamento del 2% anziché del 1,8%. Quindi, percepirebbe un aumento di 4 euro, anziché di 3,60!
Ben 40 centesimi mensili!!
Come ovvio, per le pensioni fino a 1.308,48 euro non cambierebbe nulla, dato che una parte di esse ha già percepito un lauto aumento, come si è appena visto!
RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI:
Il governo e CGIL, CISL e UIL annunciano un progetto di riforma complessiva degli ammortizzatori sociali: indennità di disoccupazione, mobilità, cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
I criteri di fondo della riforma saranno l’estensione della copertura del reddito ma, anche, l'unificazione complessiva della normativa tra i vari istituti, non facendo più distinzione tra gli ammortizzatori sociali in costanza di mantenimento del rapporto di lavoro e quello che interviene quando c’è la perdita del lavoro.
Viene affermato che la riforma degli ammortizzatori sociali deve seguire il principio secondo il quale viene resa effettiva “la perdita della tutela in caso di immotivata non partecipazione ai programmi di reinserimento al lavoro o di non accettazione di congrue opportunità lavorative.”
La Cassa integrazione ordinaria e quella straordinaria dovrebbero essere unificate, mantenendo diverse tipologie. Non è definito il futuro della indennità di mobilità.
Il disegno di riforma prevede, anche, un forte ruolo degli Enti bilaterali per esercitare un controllo sul funzionamento dei vari strumenti di ammortizzazione del mercato del lavoro. A partire dal 2008 vengono elevate le indennità di disoccupazione al 60% dell’ultima retribuzione per i primi 6 mesi. Vengono aggiunti 2 mesi al 50% per chi ha meno di 50 anni e altri 4 mesi al 40% per i disoccupati con più di 50 anni. Restano comunque in vigore i massimali.
MERCATO DEL LAVORO:
1. Lavoro a progetto
Vengono riproposte le iniziative di intervento sugli abusi, ma non c’è nessuna misura formale che ridefinisca questa forma contrattuale, al fine di ridurne drasticamente l’utilizzo. Anzi si consolida questa forma contrattuale con l’aumento dei contributi, in gran parte a carico del lavoratore.
2. Contratto a termine
Complessivamente questo capitolo peggiora significativamente la normativa in essere, definita dal Decreto legge 368/2001. Gli interventi correttivi del Governo non modificano in alcuna maniera la normativa che ha cancellato l’obbligo di precise causali per attivare i contratti a termine; conseguentemente rimane confermata la totale libertà dell’impresa di realizzare contratti di lavoro a tempo determinato a fronte di una generica necessità aziendale. Si rafforza la possibilità per le imprese di mantenere un lavoratore in contratto a termine senza nessun limite temporale in quanto, anche se il lavoratore supera i 36 mesi tra proroghe e rinnovi, l’azienda può stipulargli un nuovo contratto a tempo determinato, presso la Direzione Provinciale del Lavoro. E’ sufficiente che il lavoratore sia accompagnato da un rappresentante del sindacato a cui è iscritto o a cui ha dato mandato (il ruolo di "gestione manageriale" di CGIL, CISL e UIL). Si determinerà la concreta possibilità che il lavoratore, sotto il ricatto della stipula di un nuovo contratto a termine, rinuncia a far valere i suoi diritti anche sul piano legale e resti confinato in una condizione di precarietà permanente. Il protocollo non definisce alcun limite percentuale massimo di assunzioni a termine, ma demanda la materia alle contrattazione. Comunque, si afferma il principio che i tetti percentuali decadono nelle fasi di avvio delle attività delle imprese, per attività stagionali e per sostituzioni, in questo caso non c’è limite alle assunzioni a termine.
3. Lavoro interinale
Nessun limite di alcun tipo, né quantitativo, né qualitativo, né nella reiterazione dei contratti, viene posto sull’utilizzo del lavoro interinale (contratto di somministrazione a tempo determinato). Viene così confermato integralmente quanto previsto dalla Legge 30 e dal Decreto 276.
4. Staff leasing
Contrariamente a quanto annunciato dal governo, lo staff leasing non viene abolito.
Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato viene mantenuto e anche sostenuto attraverso opportune incentivazioni, soprattutto erogate alle stesse agenzie di lavoro che collocano questi lavoratori. La materia verrà comunque affrontata da un’apposita commissione.
5. Lavoro a chiamata
Viene cancellato. In sostituzione di esso il protocollo propone di definire, con un’apposita commissione, una forma di part time per brevi periodi che potrebbe assumere la stessa funzione del lavoro a chiamata. Con gli stessi impatti negativi per i lavoratori.
6. Appalti
Non viene accolta nessuna richiesta di rendere più esigibile e stringente la responsabilità del committente in materia di tutele, diritti, retribuzioni su tutta la filiera dell’appalto e si conferma solo quanto già definito sul testo unico in materia di salute e sicurezza.
7. Part-time
Si attribuisce ai Ccnl la possibilità di introdurre le clausole elastiche e flessibili per l’insieme dei lavoratori in part-time. Il diritto alla “doppia chiave”, cioè il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori part-time a dire di no alla modifica improvvisa dell’orario di lavoro e delle turnazioni, viene affermato solamente per le lavoratrici e i lavoratori impegnati in compiti di cura. Per la lavoratrice e il lavoratore assunti a parti-time non viene affermato il diritto di recesso dalle clausole elastiche e flessibili.
8. Apprendistato
Si tenta di riordinare l’intera materia attraverso la definizione di standard formativi nazionali tali da superare la frammentazione degli interventi formativi da parte delle regioni.
9. Servizi per l’impiego
Anche se si afferma l’impegno di rafforzare l’operatività dei servizi pubblici per l’impiego si conferma appieno il valore della presenza delle agenzie private e delle cooperative per realizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Questo in particolare nell’utilizzo dei contratti di lavoro flessibili e precari.
COMPETITIVITÀ:
Vengono incentivati sul piano industriale e competitivo i salari variabili contrattati a livello aziendale. La condizione per gli incentivi è che il salario sia incerto a priori, cioè possa essere annullato anche totalmente o modificato in alto e in basso nel suo ammontare (salario totalmente variabile). Il governo definirà i criteri di variabilità del salario aziendale che permettono di accedere agli sgravi contributivi e fiscali.
Le quote fisse o garantite dai premi non sono ammesse a sgravi. Lo sgravio contributivo viene garantito per il 5% della retribuzione media annua (oggi è il 3%). Al lavoratore viene comunque garantita la copertura pensionistica per il premio.
All’azienda e al lavoratore, vengono concessi sgravi pro-quota. Ad esempio su 1.000 euro di premio variabile, per una retribuzione annua di 20mila euro, alle aziende vengono condonati 250 euro di contributi, al lavoratore circa 90 euro. Tutti questi interventi sono finanziati con un fondo triennale. Ove le richieste superassero i limiti del fondo ci sarà una verifica tra le parti. Analogamente il governo finanzia con un apposito fondo, nella legge finanziaria del 2008, la detassazione dei premi di risultato, le cui modalità verranno definite tra le parti.
Considerando che i lavoratori registrati che usufruiscono di premi di risultato sono circa 2 milioni e che lo stanziamento è di 150 milioni di euro, l’importo medio della detassazione, se totalmente a vantaggio del lavoratore è di 75 euro in ragione d’anno.
Viene inoltre decisa la riduzione dei contributi aggiuntivi per le ore di straordinario, introdotti dalla legge 28 dicembre 1995. In ragione di questa misura le aziende che effettuano un elevato numero di ore straordinarie pagheranno meno contributi.
Non è possibile, allo stato attuale, calcolare l’effetto di questa manovra che incentiva lo straordinario e riduce la contribuzione all’Inps, ma si può ipotizzare che il risparmio complessivo delle imprese sia di diverse centinaia di milioni di euro all’anno.
PER FINIRE
Tutte le misure del protocollo devono essere soggette al principio della compatibilità con gli equilibri della finanza pubblica. Ciò vuol dire che il tutto vale meno di zero se non vengono rispettati i suddetti equilibri, che tradotto in parole povere è un’ulteriore clausola di sicurezza del Governo Prodi che, in tal modo, trova lo spazio per ulteriori provvedimenti peggiorativi.