IL GABINETTO DEL MINISTRO
“Nei conti pubblici italiani c'è una perdita potenziale da almeno otto miliardi di euro. E' relativa a derivati accesi negli anni Novanta, anche per consentire al nostro Paese di entrare da subito nell'euro, e rinegoziati nel 2012. I dati sono frutto di analisi e rielaborazioni di esperti del settore sulla base del documento che il ministero fornisce con cadenza semestrale alla Corte dei Conti. Repubblica ha potuto consultare quel documento di 29 pagine, di cui oggi dà notizia anche il Financial Times.
Secondo una fonte governativa, la magistratura contabile ha letto con preoccupazione i numeri - ufficiali ma non pubblici - ricevuti a inizio 2013 e in aprile ha inviato la Guardia di Finanza al dicastero in cerca dei contratti di stipula di quei derivati. Ma finora non li ha ottenuti.
Alla richiesta di maggiori dettagli avanzata da Repubblica, il Tesoro non ha rilasciato alcun commento. No comment anche dalla Corte dei Conti e dalla Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi, che fu direttore generale del ministero tra il 1991 e il 2001, quando molti di quei contratti furono stipulati.”
Questo è l’inizio dell’articolo pubblicato su la Repubblica on line di mercoledì 26 giugno 2013. Anche in questo caso il MEF non smentisce la sua tradizione. Ci sono notizie ufficiali e fatti molto ufficiosi. Senza voler forzare le interpretazioni, questo costume è sostenuto certamente dal ministero dell’economia in tutte le sue articolazioni come nel caso, ad esempio, delle risorse utilizzate per finanziare l’indennità di diretta collaborazione destinata al personale del Gabinetto del Ministro con Decreti Ministeriali di cui non si riesce ad avere copia, quasi fossero atti segreti o sensibili.
Se tutto è regolare e non ci sono utilizzi impropri di quelle risorse, qual è il motivo di tanta riservatezza? È lo stesso principio che fino ad oggi ha spinto il Ministero a non rispondere e produrre documentazione alla Guardia di Finanza ed agli organi d’informazione in merito ai derivati. Certo il tentativo di nascondere tale vicenda, che creerebbe un buco di 8 miliardi di Euro nel bilancio dello Stato, non è paragonabile all’ostinata negazione di fornire i decreti con cui si retribuisce il personale del Gabinetto. Questi 8 miliardi, guarda caso, coincidono con l’importo del mancato gettito determinato con l’aumento dell’IVA di 1 punto a partire da luglio 2013 e la rimodulazione dell’intera IMU (la tassa sulla casa).
Governo che va, governo che viene. Prima la dittatura dei tecnici che, con il terrore del baratro in cui il nostro paese sarebbe sprofondato, hanno adottato misure impopolari e disastrose sul piano sociale. Siamo passati dalla riforma delle pensioni a quella del mercato del lavoro; nel mezzo c’è tutto il taglio della spending review, compreso il blocco dei contratti pubblici e, di fatto, di tutta la contrattazione. Si sono tagliati servizi ai cittadini dalla sanità alla scuola pubblica, favorendo l’espansione di istruzione e cura private: chi ha i soldi si cura e può istruirsi. Per i meno ricchi c’è, in prospettiva, l’ignoranza e la malattia come dati ineluttabili. Ora con il governo delle larghe intese la situazione è stazionaria, sostanzialmente ferma nella ricerca di equilibrismi che consentano al premier Letta di sopravvivere, anche se non si capisce per cosa e perché dovrebbe continuare a resistere.
Gli effetti delle larghe intese al Ministero dell’Economia si sono sostanzialmente risolte con l’occupazione di tutti i suoi gangli vitali da parte di personale proveniente dalla Banca d’Italia.
La Banca d'Italia viene istituita con la legge n. 449 del 10 agosto 1893. Nel 1936 diventa istituto di diritto pubblico (articolo 3 della legge bancaria del 1936 ovvero il regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 marzo 1938, n. 141, e successive modificazioni e integrazioni). Le viene assegnato il compito di vigilare sulle banche italiane e ottiene la conferma del potere di emissione della moneta. Il 10 marzo 1998 (Decreto Legislativo n. 43) la Banca d'Italia viene separata dal governo italiano per aderire al Sistema europeo delle banche centrali. Negli anni '80 e '90 si assiste nelle maggiori potenze occidentali alla privatizzazione delle banche centrali: la giustificazione consiste nel fatto che esse non devono sottostare al giogo della politica, considerata asfissiante.
In realtà l'appartenenza della Banca d’Italia al Ministero del Tesoro garantiva i nostri titoli di stato e ci metteva al riparo dalle speculazioni: Banca d'Italia e Ministero del Tesoro decidevano insieme il tasso di sconto e, se i titoli di stato rimanevano invenduti, lo stato stesso provvedeva ad acquistarli.
In un sistema del genere non c'era margine per le speculazioni che hanno in seguito destabilizzato il nostro paese, sino ad arrivare alla crisi di sistema attuale.
Dopo la privatizzazione della Banca d'Italia, voluta con forza da Carlo Azeglio Ciampi (1992), si è verificata infatti una speculazione che ha deprezzato la lira. La finanza s'era messa in moto per far crollare la nostra economia e per far man bassa dei nostri gioielli di famiglia, acquistandoli a basso costo (periodo delle grandi privatizzazioni di settori strategici: comunicazioni, energia e trasporti).
Oggi (2013) siamo alla privatizzazione dello Stato con la Banca d’Italia che torna al MEF non più come controllata ma come gestore diretto dell’economia nazionale. Il governo delle larghe intese consente che il Ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, sia un uomo di Bankitalia, membro del Direttorio e Direttore Generale della stessa (dal 2 ottobre 2006 a 27 aprile 2013 quando diventa Ministro). Non ancora soddisfatti, si sostituisce addirittura il Ragioniere Generale dello Stato: viene così nominato Daniele Franco, che lascia il ruolo di direttore centrale della Banca d'Italia per l'area Ricerca economica e relazioni internazionali per prendere il posto che fu di Mario Canzio.
Queste nomine si accompagnano all’operazione di costituzione del nuovo organigramma del Gabinetto del ministro, che vede designazioni eccellenti con provenienza anche dagli organi costituzionali oltre che dalla ormai immancabile Banca d’Italia.
A questo punto non è marginale porsi la domanda anche sul costo economico dell’occupazione del MEF da parte di Bankitalia, con stretto riferimento alle remunerazioni di questi alti Dirigenti e soprattutto di quelli provenienti dai suddetti organi costituzionali o già pensionati di lusso.
Saranno soggetti alle norme che stabiliscono il tetto alla retribuzione complessiva dei Dirigenti della Pubblica Amministrazione o troveranno il modo di svicolare?
L’aumento unilaterale, da parte del Gabinetto del ministro, dell’indennità sostituiva di risultato (parte del salario accessorio dei dirigenti) che sarebbe avvenuta in questi giorni è già una prima risposta a questa domanda e lo è anche all’ipocrita quesito che si è posto il capo del Governo Letta sullo scandalo degli stipendi dei manager pubblici.
Il MEF, luogo fisico e politico della spending review, postazione “armata” del controllo di tutti i tagli salariali dei dipendenti pubblici e sentinella implacabile della riduzione progressiva della spesa sociale, ha al suo interno l’isola felice del Gabinetto del ministro, zona franca dove le regole generali non valgono.
Ci chiediamo inoltre come sia possibile, in un quadro così delineato, che si trovino risorse aggiuntive per i lavoratori “normali” del MEF. Se le risorse pubbliche si usano per aiutare le banche e mantenere gli impegni assunti con la UE e la BCE, quando sarà possibile trovare gli stanziamenti necessari al rinnovo contrattuale del pubblico impiego ed a rifinanziare scuola e sanità pubbliche?
Questa situazione è semplicemente vergognosa ma la USB MEF continuerà con determinazione la propria battaglia di denuncia e di lotta, come ha già fatto con la citata questione delle indennità del gabinetto del ministro rimaste secretate per anni.