L'attacco alle DONNE
E' iniziato il nuovo anno ma è ancora recente il pesantissimo attacco del governo contro le donne, in particolare contro le lavoratrici del pubblico impiego.
Con il pretesto di dare corso ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea riguardante la parità di trattamento economico tra lavoratori di sesso diverso, il governo intende aumentare di nuovo l’età pensionabile portandola a 65 anni per le lavoratrici della Pubblica Amministrazione.
Né questo né i governi precedenti, però, si sono preoccupati di applicare un’altra sentenza della Corte riguardante il riconoscimento dell’anzianità di servizio per le lavoratrici precarie.
La precarietà, infatti, è DONNA, ed è diventata il modello di riferimento.
Sono le donne quelle costrette a firmare, oltre al contratto d'assunzione, la lettera di dimissioni in bianco che questa compagine governativa si è affrettata a rendere nuovamente lecita.
Sono sempre le donne quelle che perdono il lavoro entro il primo anno di età del bambino (periodo in cui è vietato licenziarle) e alle quali, già da oggi, si chiedono ulteriori 2 anni di lavoro in più per il raggiungimento della pensione.
Sono, soprattutto, le donne quelle a cui è, tuttora, vietato cumulare la pensione di reversibilità con il reddito da lavoro.
Le immigrate, poi, sono il simbolo della precarietà, con il permesso di soggiorno legato al lavoro, a sua volta connesso all'esistenza in vita dell'anziano che accudiscono, sempre sottopagate, come badanti nell'isolamento delle case.
Sono le retribuzioni delle donne ad essere, in media, inferiore del 20% a quelle degli uomini, a parità di mansioni ed è, la povertà in Italia, soprattutto, donna: di chi è in pensione, in maggioranza donne sole, e delle famiglie monogenitoriali condotte da una donna.
Sono le donne quelle part-time o, comunque, con i tempi contingentati dall'altro lavoro, quello che ancora oggi non ha valore espresso in euro e che non rientra nel calcolo della produttività delle imprese: il lavoro di cura dei figli, dei padri, dei mariti, dei lavoratori di oggi, di ieri e di domani.
Quel lavoro che aumenta di più ogni anno, in concomitanza con la finanziaria di turno e con i tagli allo Stato Sociale.
E, come se non bastasse, anche il corpo delle donne è precario.
Dall'essere esposte come carne da macello in quasi tutti i programmi televisivi, per passare attraverso il decreto del ministro per le pari opportunità che criminalizza le prostitute e non gli sfruttatori del loro lavoro, fino a giungere all'attacco smisurato alla legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (L. 194/78) e all'imposizione se, quando e con chi, accedere alle tecniche di riproduzione assistita.
Ogni occasione, quindi, è buona per tentare di cancellare i diritti, cominciando da uno dei settori più deboli di questa società: le lavoratrici che, ormai, suppliscono completamente alle funzioni di uno stato sociale disintegrato dalle forze politiche di ambedue gli schieramenti, divenute, di volta in volta, maggioranze di governo.
Le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto in termini di salario, di disoccupazione, di precariato e di qualità della vita, fra tagli di servizi indispensabili (scuola e sanità), aumenti di carichi di lavoro dentro e fuori le mura domestiche ed il dilagare della violenza sul proprio corpo.
Una dimensione di violenza e di omicidi di donne che mostra, in maniera del tutto evidente, che non si tratta affatto di singoli episodi ma "della condizione generale" delle donne.
Non si tratta, quindi, che questo sistema sociale non fa nulla per impedire violenze e omicidi, ma che è esso stesso la causa principale delle violenze e degli omicidi.
Infatti, la maggior parte degli omicidi, delle violenze avvengono all'interno della famiglia o dei rapporti di coppia, luoghi divenuti strumenti di conservazione di questo sistema sociale e, quindi, un suo fondamentale e importante puntello; famiglia come ammortizzatore sociale delle contraddizioni sempre più laceranti della società borghese; famiglia che lenisce le "ferite", che addomestica, controlla, normalizza le spinte di rottura; una "istituzione" di difesa, sicurezza, ordine e di chiusura verso l'esterno considerato "il male".
E’ tempo che le lavoratrici riprendano, nelle proprie mani, l’iniziativa contro questo nuovo e gravissimo attacco alle condizioni di lavoro e di vita delle donne, per una battaglia che metta al centro la riconquista di tutti i diritti e non permetta di barattare, con l’aumento dell’età pensionabile di altre donne, la mancanza di servizi sociali.
E' necessario, quindi, la costruzione di una mobilitazione nazionale contro questo ulteriore attacco che imporrà alle donne di pagare, per prime, il prezzo più alto della crisi economica che investe tutto il mondo del lavoro e la società nella sua complessità.