TAV.... treni a bassa digeribilità ambientale!
Che cosa sta succedendo in Piemonte? Una grande mobilitazione popolare contro la Tav.
Negli ultimi anni, abbiamo avuto grandi mobilitazioni popolari sui problemi dell'ambiente.
Ma hanno toccato, in generale, zone povere del Mezzogiorno del nostro paese. Da Scanzano, a Salerno, ad Acerra, le popolazioni si sono ribellate perché si voleva scaricare e concentrare là una questione, quella dei rifiuti, che richiede ben altri e più solidali livelli di intervento.
Mai, però, il Nord era stato così direttamente coinvolto nelle contraddizioni dello sviluppo liberista.
La ribellione della Valle Susa segna, quindi, un passaggio decisivo, perché coinvolge popolazioni e territori con livelli di sviluppo tra i più elevati.
Il no alla Tav coinvolge i contadini, i residenti, coloro che sono immediatamente interessati alla salvaguardia dell'ambiente e del turismo, ma anche i lavoratori e gli operai metalmeccanici delle tante piccole e medie industrie della valle.
Ancora una volta, la questione del modello di sviluppo e quella della partecipazione democratica, di chi decide e con quale consenso, sono profondamente intrecciate.
I cittadini e gli operai della Valle Susa non sono disposti ad accettare che, per i prossimi 12-13 anni, i loro luoghi di vita e di lavoro siano trasformati in una trincea fangosa.
C'è da domandarsi: è stato fatto il conto del prezzo che pagano queste popolazioni?
In una società sempre più afflitta dal mito della contabilità, dalla trasformazione in conti e costi di ogni bene e relazione sociale, qualcuno si è messo a calcolare quanto costa il fatto che per tanti anni un'intera valle sia inagibile?
E, naturalmente, questo senza fare il conto dei rischi per la salute, se verrà confermato che lo scavo di una galleria di ben 52 chilometri, porterà alla luce uranio, amianto e altri materiali nocivi, magari da scaricare in qualche provincia del Mezzogiorno d'Italia.
Qui, c'è tutta la miopia di un modello di sviluppo che trascura le persone e l'ambiente, salvo poi, farci pagare drammaticamente i costi di questa trascuratezza.
Certo, sull'altro piatto della bilancia c'è il progresso, l'aumento della velocità dei collegamenti con un mezzo più ecologico, quale il treno.
Ma siamo sicuri che guadagnare mezz'ora, quaranta minuti su alcune tratte, valga la rinuncia ad investire su tutta la rete ferroviaria normale?
Perché, è questo che sta avvenendo in realtà.
I soldi per l'alta velocità, per i mega investimenti che percorrono alcune aree, sono sottratti a quelli per migliorare le tratte dei pendolari, le carrozze, la frequenza dei trasporti pubblici in tutto il paese.
Pochi treni vanno più veloci, tutti gli altri sono più lenti.
Anche per questo, i lavoratori, gli operai, gli studenti lottano insieme a tutti gli abitanti della Valle Susa.
Perché sanno che un altro modello di sviluppo, con meno Tav e più treni e carrozze per i pendolari, darebbe anche a loro più lavoro.
Sono dunque tante le ragioni che ci fanno dire che i soldi della Tav potrebbero essere spesi meglio, sia dal punto di vista ecologico, sia da quello dello sviluppo industriale ed economico, ma in ogni caso c'è la questione fondamentale della democrazia.
Come si può pensare di trasformare un'intera valle in una miniera a cielo aperto senza il consenso delle popolazioni interessate?
Invece no, nella migliore delle ipotesi si trattano i cittadini in lotta come inevitabili vittime sacrificali del progresso, quando non li si accusa di essere retrogradi o strumentalizzati dai no global.
Insomma, volutamente non si vuole capire e, magari, si tenta di inquinare il conflitto sociale con il ritrovamento di qualche pacco bomba.