I brogli

Roma -

 

Con un colpo di coda del governo Berlusconi, si sono bloccati i contratti di oltre 1.500.000 di dipendenti pubblici dei comparti Sanità, Enti Locali, Agenzie Fiscali, Università.
Da oltre 28 mesi i lavoratori di questi settori sono senza contratto e, proprio ieri, il Governo ne ha chiesto, alla Corte dei Conti, il loro blocco argomentando lo sforamento economico di quanto è stato pattuito, il 28 maggio 2005, tra lo stesso Governo e le OO.SS. (tranne le RdB/CUB).

Ancora una volta, sono solo i lavoratori gli unici a pagare.

 

Dopo l’ubriacatura elettorale di questi giorni, sarebbe ora che la politica torni a fare i conti con i problemi reali dei lavoratori.

Chiudere la scandalosa partita dei contratti scaduti, pagare tutti gli arretrati del biennio economico 2004-2005 e aprire immediatamente i contratti 2006-2009, scaduti già da 4 mesi.

Una questione, quella del pubblico impiego, che la prossima compagine governativa dovrà affrontare immediatamente sia per ciò che riguarda gli aumenti salariali "veri", sia per i tanti problemi che affliggono la pubblica amministrazione, a partire dalla natura giuridica del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici (privati o pubblici secondo le convenienze dei governi), alle riforme Bassanini che hanno, colpevolmente, ridisegnato a costo zero la Pubblica Amministrazione, scaricando i costi sui lavoratori e sugli utenti.

 

Così come, resta la precarietà un altro tema centrale dei prossimi mesi.

La RdB/CUB non darà tregua al prossimo governo e a chiunque immagini un paese pacificato.

Garantire la governabilità è possibile solo cancellando le leggi che hanno introdotto la precarietà, introducendo il salario minimo, il reddito sociale per precari e disoccupati, prevedendo una distribuzione della ricchezza a favore dei lavoratori e non delle rendite e dei capitali, rafforzare il sistema previdenziale pubblico.

Nessuna riedizione della concertazione, già riproposta da Cgil, Cisl e Uil come perno per la politica economica del governo di centrosinistra, potrà zittire chi ha riposto, nel nuovo governo, una reale speranza di cambiamento.

Il mondo del lavoro non ha bisogno di una nuova stagione di concertazione, ma di una forte inversione di tendenza che ridia valore al lavoro e non solo, in un paese dove ancora persiste una cultura populista, dell’antipolitica, della rivolta fiscale, della difesa nuda e cruda della proprietà e delle disuguaglianze sociali.

Un paese diviso in due, dove la crisi di civiltà produce un disagio di massa così generalizzato e profondo, che spacca la società non solo "verticalmente" ma anche "orizzontalmente", diffondendo insicurezza e paura del nuovo e del diverso, paura di perdere i propri privilegi, anche piccoli, paura di ogni cambiamento, che appare solo come un salto nel buio.

 

Mettere al centro della politica gli interessi dei lavoratori, dei pensionati, della tutela del territorio, equivale a combattere quella visione utilitaristica delle istituzioni e dell'idea che lo Stato e la politica debbano essere gestite da un padrone, proprio come le aziende.

Significa combattere la malsana idea che la democrazia non sia partecipazione diffusa e continua, ma consista nel trovare 5 minuti ogni 5 anni per andare a votare delegando, per il tempo rimanente, qualcuno che abbia non solo la voglia di occuparsene ma, anche, un interesse personale nel farlo.